23 - 08
2022
TFS e 6 SCATTI > TUTTI GLI ARTICOLI
QUESTO ARTICOLO RIGUARDA IL PERSONALE POLIZIA di STATO, CARABINIERI, GUARDIA DI FINANZA e POLIZIA PENITENZIARIA
Con sentenza n. 926/2022, pubblicata in data 19.08.2022, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana ha confermato, in modo deciso, il proprio sì all’applicazione dei sei scatti stipendiali sul TFS per gli appartenenti alle Forze di Polizia a ordinamento civile e militare che cessino dal servizio a domanda a condizione che abbiano compiuto 55 anni di età e 35 anni di servizio utile alla data del congedo.
La sentenza del Giudice di Appello per la Regione Siciliana, che si annovera tra le prime sentenze di merito emesse dal Giudice di secondo grado sul panorama nazionale (si attende pronuncia del Consiglio di Stato entro la fine del corrente anno), nasce dall’appello promosso dall’INPS avverso la sentenza del TAR Catania (sezione III) n. 823/2022 che aveva già riconosciuto a un nostro ricorrente, maresciallo della Guardia di Finanza, il diritto alla riliquidazione del TFS con l’applicazione dei sei scatti stipendiali.
L’INPS unitamente all’appello aveva avanzato domanda cautelare affinché venisse sospesa l’esecutività della sentenza di primo grado. All’udienza fissata per decidere sulla richiesta cautelare l’INPS rinunciava alla stessa ma il Consiglio di Giustizia Amministrativa, ritenendo la causa comunque matura per essere definita, decideva con sentenza in forma semplificata ai sensi degli articoli 60 e 74 c.g.a.
Qui di seguito la sentenza n. 926/2022 del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana che vi invitiamo a leggere.
La Sentenza del
CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA
PER LA REGIONE SICILIANA
La prima parte dell’ampia motivazione è dedicata a problemi di natura processuale e finalizzata a spiegare le ragioni tecnico-giuridiche per cui il Consiglio si sia pronunciato con sentenza in forma semplificata malgrado la rinuncia dell’INPS all’istanza cautelare.
La pronuncia entra poi nel vivo della tematica dei sei scatti a partire dal paragrafo 9, affrontando anzitutto il problema della legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
L’INPS infatti ha impugnato la sentenza di primo grado, nella parte in cui il Tar ha ritenuto il Ministero dell’Economia e delle Finanze non legittimato a partecipare alla presente controversia.
Il Consiglio ha ritenuto tale motivo di appello “infondato, dal momento che l’unico soggetto obbligato a corrispondere l’indennità di buonuscita è il competente Ente previdenziale […]. La dedotta circostanza che il Ministero dell’economia e delle finanze debba eventualmente partecipare al procedimento amministrativo prodromico alla definizione della buonuscita non incide sulla legittimazione a partecipare, dovendosi gestire all’interno del rapporto di diritto pubblico fra i due enti, connotato dal principio di leale collaborazione, atteso che solo l’Inps rappresenta il soggetto debitore” nei confronti dell’appellato.
Il Giudice d’Appello passa poi ad esaminare il tema della disciplina vigente, e in piena adesione alla ricostruzione esegetica della difesa di parte appellata, ha respinto la prospettazione dell’Istituto Previdenziale secondo cui debba applicarsi al caso di specie l’art. 1 comma 15-bis d.l. n. 379/1987 formalmente ancora in vigore perché non espressamente abrogato dal d.lgs. n. 66/2010. Al riguardo la sentenza argomenta: “Tuttavia, il c.o.m. ha espressamente abrogato l’art. 11 l. n. 231/1990 che, come visto, ha sostituito l’art. 1 comma 15-bis d.l. n. 379/1987. 11.5. Ora, si deve escludere che l’abrogazione di una disposizione che novella una precedente disposizione faccia rivivere la disposizione originaria. Per l’effetto, non può ritenersi che l’abrogazione dell’art. 11 legge n. 231/1990, che ha sostituito l’art. 1 comma 15-bis d.l. n. 379/1987, abbia determinato la riviviscenza della disposizione nell’originaria formulazione. Piuttosto, si deve ritenere che il c.o.m., nell’abrogare l’art. 11 legge n. 231/1990, abbia inteso abrogare anche l’art. 1 comma 15-bis d.l. n. 379/1987. Sicché non è più in vigore la norma contenuta nell’art. 1 comma 15-bis del d.l. n. 379/1987, che limita l’applicazione dell’istituto de quo ai casi di cessazione dal servizio per età o di inabilità permanente o di decesso, con esclusione della cessazione dal servizio a domanda. La reviviscenza infatti, richiamata dalla difesa dell’Inps a proposito della norma contenuta nell’art. 1 comma 15-bis del d.l. n. 379/1987, in base alla quale una norma cronologicamente abrogata riprende a esplicare effetti al venir meno del fatto o dell’atto che ne ha determinato l’abrogazione, è istituto di carattere eccezionale.
Nel caso di specie, non può ritenersi che l’abrogazione dell’art. 11 della legge n. 231/1990, che ha sostituito l’art. 1 comma 15-bis del d.l. n. 379/1987, abbia determinato la riviviscenza della disposizione nell’originaria formulazione. L’art. 11 della legge n. 231/1990 è stato infatti abrogato dall’art. 2268 comma 1 n. 872) del c.o.m.”
Il CGA esamina le ragioni per le quali la reviviscenza dell’art. 1 comma 15bis del D.L. 379/1987 debba essere esclusa: “Innanzitutto, la tecnica di produzione normativa di tipo codicistico osta di per sé alla reviviscenza di una norma esterna al codice, essendo connotata da un’aspirazione di completezza e sistematicità che non consente il rinvio ad altre disposizioni normative, recando al proprio interno le regole volte alla disciplina dell’intero settore cui si rivolgono. Si aggiunge che il Codice dell’ordinamento militare, nell’abrogare l’art. 11 della legge n. 231/1990 (per mezzo dell’art. 2268 comma 1 n. 872), ha altresì statuito quale disciplina applicare al trattamento di fine rapporto per mezzo dell’art. 1911 (su cui infra). Pertanto, difetta, nel caso di specie, la condizione minima per poter ritenere che l’abrogazione dell’art. 11 legge n. 231/1990, che ha sostituito l’art. 1 comma 15-bis d.l. n. 379/1987, abbia determinato la riviviscenza della disposizione nell’originaria formulazione, che si deve ritenere piuttosto abrogata anch’essa.”
Esclusa l’attuale vigenza dell’art. 1 comma 15bis del D.L. 379/1987, il Giudice di secondo grado analizza le norme che disciplinano i sei scatti sul TFS, partendo dall’art. 6-bis del d.l. n. 387/1987 e chiarendo che l’ambito di applicazione soggettivo di tale disposizione “comprende gli appartenenti alle forze di polizia aventi qualifiche equiparate a quelle citate in detto articolo, senza distinguere fra appartenenti all’ordinamento civile e appartenenti all’ordinamento militare. Quanto all’ambito oggettivo di applicazione esso è delineato da una duplice previsione Ai sensi del comma 1 sono attribuiti, “ai fini del calcolo della base pensionabile e della liquidazione dell’indennità di buonuscita”, e in aggiunta a qualsiasi altro beneficio spettante, sei scatti ciascuno (“del 2,50 per cento da calcolarsi sull’ultimo stipendio ivi compresi la retribuzione individuale di anzianità e i benefici stipendiali di cui agli articoli 30 e 44 L. n.668/1986, art.2 commi 5-6-10 e art.3 commi 3 e 6 del presente Decreto”) al personale che “che cessa dal servizio per età o perché divenuto permanentemente inabile al servizio o perché deceduto”. Il comma 2 estende l’attribuzione dei sei scatti “al personale che chieda di essere collocato in quiescenza a condizione che abbia compiuto i 55 anni di età e 35 anni di servizio utile”, con la precisazione che “la domanda di collocamento in quiescenza deve essere prodotta entro e non oltre il 30 giugno dell’anno nel quale sono maturate entrambe le predette anzianità; per il personale che abbia già maturato i 55 anni di età e trentacinque anni di servizio utile alla data di entrata in vigore della presente disposizione, il predetto termine è fissato per il 31 dicembre 1990”.
In tale contesto normativo si innesta il Codice dell’ordinamento militare che “si è limitato a non innovare (anzi sottolineando la perdurante vigenza), con riferimento alle forze di polizia ad ordinamento militare (essendo questo l’ambito di applicazione del Codice), il regime in vigore per il calcolo dell’indennità di fine rapporto degli appartenenti alle forze di polizia, così come delineato dell’art. 6-bis del d.l. n. 387/1987, che comprende, come visto, sia gli appartenenti all’ordinamento militare, sia gli appartenenti all’ordinamento civile delle forze di polizia.”.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa respinge in punta di diritto anche la tesi cara all’INPS, secondo cui la disciplina dei sei scatti del TFS, debba essere interpretata alla luce della giurisprudenza costituzionale volta a preservare la tenuta dei conti pubblici in uno con la sostenibilità del sistema previdenziale. “A fronte di una espressa previsione di legge non può infatti essere utilizzata l’attività interpretativa, anche se costituzionalmente orientata, al fine di attribuire alla medesima un contenuto opposto. E ciò neppure se la Corte costituzionale abbia ribadito la legittimità degli interventi normativi finalizzati a modificare in senso peggiorativo i trattamenti pensionistici, in nome del principio del bilanciamento complessivo degli interessi costituzionali nel quadro delle compatibilità economiche e finanziarie, o abbia modificato l’orientamento precedente volto ad adeguare, a livello interpretativo, le disposizioni meno favorevoli a quelle più favorevoli. D’altronde, atteso che è lo stesso contenuto dell’art. 6-bis del d. l. 387/1987 ad essere applicabile al caso di specie, non può affermarsi che sia l’interpretazione estensiva del medesimo a violare l’art. 81 Cost. e ciò anche considerando il principio di discrezionalità del legislatore nella determinazione dell’ammontare delle prestazioni sociali, che consente di “aggredire” la scelta del legislatore sulla base del solo canone dell’irragionevolezza, rispetto al quale non sono stati dedotti argomenti a suffragio.”
Ulteriore motivo di appello proposto dalla difesa dell’Ente Previdenziale e respinto dal Collegio è quello della natura decandenziale del termine del 30 giugno di cui al citato art. 6-bis, comma 2, per presentare domanda di collocamento in quiescenza. Osserva infatti il Consiglio che il termine del 30 giugno abbia natura meramente ordinatoria e ciò discende non solo dalla mancata previsione espressa di tale termine come decadenziale “ma anche nella lettura della norma all’interno del contesto in cui è inserita e, in particolare, in relazione al disposto del comma successivo, il comma 3 dell’art. 6-bis del d.l. n. 387/1987. Con esso si dispone che “I provvedimenti di collocamento a riposo del predetto personale hanno decorrenza dal 1°(gradi) gennaio dell’anno successivo a quello di presentazione della domanda”. Ne deriva che il rispetto del termine del 30 giugno è funzionale a consentire la decorrenza del collocamento a riposo a partire dal primo gennaio dell’anno successivo. Il termine del 30 giugno non è quindi un termine di decadenza ma rappresenta un onere per l’interessato, che incide sulla tempistica di soddisfazione dell’aspettativa di collocamento a riposo del medesimo. Né può ammettersi una diversa interpretazione di detto termine, riferito espressamente alla domanda di collocamento a riposo. Invero, il rispetto del termine del 30 giugno non può essere considerato una condizione la cui inottemperanza impedisce il collocamento a riposo a domanda (nel senso quindi di ritenere che il collocamento a riposo a domanda sia ammissibile solo se richiesto nel periodo immediatamente seguente al verificarsi delle due condizioni predette). Il già richiamato comma 3 lascia intendere infatti che il collocamento a riposo a domanda possa avvenire anche in anni successivi, dipendendo esclusivamente dalla data di presentazione dell’istanza. Neppure può considerarsi che la presentazione della domanda di collocamento a riposo entro il 30 giugno incida esclusivamente sull’attribuzione dei sei scatti ai fini del calcolo dell’indennità di buonuscita, dal momento che non si rinviene una ragionevole giustificazione della diversità di trattamento che sarebbe riservata a coloro che presentano la domanda di collocamento a riposo entro il 30 giugno dell’anno nel quale sono maturate entrambe le condizioni di anzianità, che si gioverebbero dell’attribuzione dei sei scatti, rispetto a coloro che la presentano nelle annualità successive (essendo quindi collocati a riposo entro il successivo primo gennaio), che non si gioverebbero di detta attribuzione. Sicché solo una norma chiara nel senso della natura decadenziale del termine potrebbe fondare una diversità di trattamento non passibile di interpretazione costituzionalmente orientata, atteso che “le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali” (Corte cost., sentenza 22 ottobre 1996 n. 356 e ordinanza 19 giugno 2019 n. 151). Quindi, anche a ritenere (soltanto) ambigua la disposizione sul termine del 30 giugno, detta ambiguità “non consente di far discendere, dal mancato rispetto del termine di presentazione della domanda di collocamento in quiescenza di cui al citato art. 6-bis comma 2 del d.l. n. 387 del 1987, alcuna conseguenza decadenziale, la quale presuppone evidentemente la chiarezza e perspicuità dei relativi presupposti determinanti”.
La sentenza in commento analizza dunque in modo puntuale tutte le argomentazioni dell’INPS e in modo altrettanto puntuale le respinge una ad una riconoscendo, in modo inequivocabile, il diritto del pensionato all’applicazione dei sei scatti sul TFS in presenza delle condizioni oggettive e soggettive descritte dall’art. 6bis del d.l. n. 387/1987.
La Sentenza del
CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA
PER LA REGIONE SICILIANA
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Arezzo – 23 Agosto 2022
Avv. Eleonora Barbini
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